L’enorme successo del nuovo BTP Valore nel primo giorno di collocamento (sono stati raccolti oltre € 6,44 MD, per oltre 211.000 sottoscrizioni, pari ad importo medio di € 30.500, numeri ben superiori a quelli, già molto positivi, realizzati nei primi 2 collocamenti, a giugno e a ottobre 23, quando vennero sottoscritti, rispettivamente, sempre nel primo giorno, € 5,4 MD ed € 4,76 MD) ci dice molte cose.
La prima è una conferma: sui conti delle famiglie italiane (il collocamento è riservato agli investitori privati) è presente una liquidità ancora molto elevata. Per quanto, nell’ultimo anno, complice l’elevata inflazione, sia diminuita di circa € 150 MD, rimane sempre a livelli altissimi, stimati a circa € 1.300 MD. Per la maggior parte si tratta di depositi per nulla o poco remunerati: è ovvio, quindi, che i risparmiatori siano alla ricerca di opportunità di investimento in grado, in primis, di difendere la perdita di valore che deriva dall’inflazione (per quanto sia in continua discesa e oramai ben lontana di picchi di circa 15 mesi fa, siamo pur sempre, in Europa, intorno al 2,7%, anche se è vero che in Italia siamo ad un livello più basso, intorno all’1%, che, però, dovrebbe alzarsi un pochino).
La seconda è che la quota del debito pubblico italiano in mano alle famiglie italiane è in continua crescita. Se a fine 2021, quando il dato complessivo era pari a circa € 2.580 MD, le famiglie detenevano il 6,4% dei 2.234 MD di titoli di stato emessi, a fine 2023 la percentuale è salita al 13,5%, su un “monte titoli” complessivo che sfiorava i 2.400 MD. Due anni in cui è venuta a mancare la “mano” della BCE, che con il QE prima e il piano pandemico poi aveva sostenuto gli acquisti dei titoli governativi, non solo italiani, al fine di mantenere i tassi a livelli mai visti in precedenza (al punto che, che ben ricordiamo, non solo i “sicurissimi” bund tedeschi ma anche molte emissioni italiane, con durata inferiore ai 5 anni, avevano rendimenti negativi).
Da qui scaturisce la terza considerazione. Dovendo far fronte all’assoluta necessità di “finanziare” il funzionamento dell’apparato statale, per il quale certamente non poteva e non può bastare il PNRR (per quanto si parli di € 200 MD spalmati sino al 2026), il Tesoro ha iniziato a prendere in considerazione emissioni “dedicate” alle famiglie, prima con il BTP Italia (titoli il cui rendimento è collegato all’inflazione italiana) poi con il BTP Valore, una formula particolarmente apprezzata per via di un tasso che cresce nel tempo (step-up) mentre i tassi sono destinati a scendere. Un titolo, quindi, destinato ad apprezzarsi nel tempo, risultando uno strumento interessante per difendere il valore del capitale (e quindi dell’investimento).
In questo modo si ottiene, peraltro, un altro effetto piuttosto interessante (per il Tesoro): è dimostrato che gli acquisti “domestici” (quali sono quelli dei risparmiatori privati) non sono finalizzati ad una attività di “trading” (e quindi di “breve periodo”). Di solito, cioè, chi li acquista lo fa per tenerli sino alla loro naturale scadenza (anche sulla spinta del “premio di fedeltà”, vale a dire “l’extra rendimento” offerto per chi li detiene sino al rimborso da parte del Tesoro). Questo consente di “mettere al sicuro” il debito pubblico, non esponendolo alla volatilità tipica di chi, come gli investitori esteri, per lo più istituzionali, è alla ricerca di “rendimento” e non si fa scrupoli se si tratta di vendere massicciamente laddove le prospettive per il nostro Paese si facessero cupe (come ben testimoniano diversi episodi in passato, con lo spread a precipizio e i rendimenti a livelli insostenibili). Un po’ quello che succede in Giappone, il Paese che forse ha il rapporto debito/Pil forse più alto al mondo (circa il 250%): nonostante ciò, il debito del “sol levante” non fa una piega, essendo detenuto nella stragrande maggioranza da famiglie e istituzioni domestiche.
La scelta di aderire in massa all’offerta di questi giorni è frutto, quindi, di una valutazione molto “lucida”: da un parte la consapevolezza che, per quanto i conti italiani non siano splendidi, l’ipotesi di un “default”, grazie al fatto di essere in Europa, è un’ipotesi di fatto irrealistica (a maggior ragione quando si tratta di un orizzonte temporale piuttosto corto come quello del BTP Valore, cioè 6 anni), dall’altra la certezza che i rendimenti offerti siano piuttosto competitivi ed interessanti, soprattutto in prospettiva (a cui si devono aggiungere altri fattori “collaterali”, quali l’assenza di costi di sottoscrizione, l’aliquota fiscale agevolata del 12,50%, il pagamento delle cedole trimestralmente, nonché l’esclusione dal conteggio per la definizione dell’Isee fino ad € 50.000).
Chiusura sostanzialmente invariata ieri sera a Wall Steet, con gli indici poco mossi.
Questa mattina dal Pacifico arrivano segnali piuttosto positivi: se il Nikkei di Tokyo, dopo la corsa delle ultime settimane, è piatto, a Shanghai l’indice sale dell’1,30%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng fa segnare + 0,62%.
Deboli a Seul il Kospi e la borsa di Taiwan.
Futures in leggero ribasso un po’ su tutte le piazze, con cali intorno al – 0,10%.
Petrolio in leggera crescita, con il WTI a $ 77,85, + 0,23%.
Gas naturale Usa $ 1,749, sui livelli di ieri.
Oro $ 2.045, + 0,24%.
Spread a 144,6 bp, con il BTP a 3,88%.
Bund 2,36%.
Treasury al 4,27%, in leggera salita.
Lieve incremento per l’€, con €/$ a 1,0862.
“Strappo” del bitcoin, che si porta oltre i $ 56.000 (56.173), massimi da fine 2021.
Ps: il “superbnonus 110%” è, forse, una delle norme più chiacchierate delle ultime legislature, che, se da una parte ha contribuito a sostenere un settore trainante come l’edilizia, dall’altra ha fatto lievitare non poco il nostro debito pubblico, con un costo stimato, per le casse pubbliche, intorno a € 130/140 MD. E’ di questi giorni uno studio di Infocamere secondo il quale, in neanche 3 anni, sono nate e subito dopo chiuse circa 11.000 imprese edili. Un numero che la dice lunga su quanto si è verificato per accaparrarsi il contributo statale.